Saluto di Cavallanti Paolo ARD LOM di Salò
Il mio lascito al CAI
Sovente ho sentito dire frasi come queste: «Per me la montagna è tutto», «Ho dato tutto me stesso all'alpinismo», «Se non dovessi più arrampicare sarei un fallito». Sul momento non feci molto caso a simili affermazioni perché anch'io ho rischiato molto da vicino di divenire un fallito.
Queste non sono frasi mie, ma sono di Gian Piero Motti, tratte dalla "Rivista mensile del CAI" del settembre 1972.
Questo scritto venne accolto con scetticismo dagli alpinisti cresciuti nelle ristrettezze del dopoguerra che non colsero appieno la novità culturale del messaggio, come invece la coglieranno quelli della sua generazione e quella immediatamente successiva, tra le quali la mia.
Sono Paolo Cavallanti della sezione di Codogno. Per me l’andare in montagna e l’adesione al CAI subito dopo, non sono mai stati una semplice evasione dalla società con i suoi ritmi ed i suoi tempi, quanto la ricerca di qualcosa di più profondo. Quasi un cammino introspettivo che mi ha portato a visitare molti posti, a frequentare e conoscere tante persone e ad apprezzare il valore positivo dei valori -con cui mi identifico interamente- del nostro sodalizio. Sono partito con avventure piccole, fatte di tanto camminare in montagna e di zaini pesanti, per arrivare a vere e proprie sfide ritrovandomi appeso su staffe a pochi minuscoli chiodi in contesti meravigliosi.
Nel mezzo la famiglia, gli affetti, le amicizie ed il lavoro, ma anche gli errori, gli inciampi ed i crepacci quali la vita a volte ci presenta.
Definisco quindi la mia candidatura odierna con lo spirito di voler andare oltre, consapevole di quanto mi aspetta, ma preparato per quello che il CAI, attuale e futuro, riserva e riserverà a tutti noi ‘conquistatori dell’inutile’ così come siamo stati definiti da Lionel Terray.
Grazie a tutti.
Paolo Cavallanti